Nell’articolo si affronta il tema dell’obbligo vaccinale, dapprima sotto il profilo
privacy e poi sotto il profilo organizzativo per, infine, verificare criticamente
come le disposizioni di legge e quelle ricavate dalle FAQ dell’Authority
sembrino non essere coerenti; nel farlo si affrontano sinteticamente anche le
riflessioni organizzative imposte dal recentissimo decreto aprile n. 44/2021,
dal protocollo per le vaccinazioni in azienda del 6 aprile 2021, le criticità
sollevate e si delineano i possibili ambiti operativi
Il problema sollevato dalle FAQ del
Garante Privacy
Ad un anno di distanza dall’inizio della pandemia è ormai chiaro a tutti che l’unico metodo individuato dalle pubbliche autorità per uscire da questa situazione di blocco (dettato dalla tutela della salute in preferenza ad ogni soluzione organizzativa, che lo Stato non è in grado di rappresentarsi né eseguire) è dato dalla possibilità di vaccinare la popolazione.
La vaccinazione, quindi, assume un aspetto fondamentale nella lotta al COVID-19 che vede impegnati tutti per limitarne le conseguenze, inclusi anche tutti i datori di lavoro, in capo ai quali, come a tutti, sono già state imposte regole precise per la sicurezza nei luoghi di lavoro, quando, lo scorso anno, avemmo una breve riapertura a cavallo dell’estate.
Distanziamento, assistito da sistemi per aiutare a mantenere le distanze, rilevazione della temperatura, comunicazione alle ATS dei casi sospetti, sono tutti obblighi imposti ai datori di lavoro al fine di cercare di limitare il contagio. Sembrerebbe quindi naturale che i datori di lavoro possano appurare anche quanti e quali dipendenti si siano vaccinati, nel perseguimento dello stesso scopo: mantenere un luogo di lavoro sicuro e tutelare così tutti i lavoratori e il lavoro nel suo complesso.
Non sembra di questo parere invece il Garante per la tutela dei dati personali, il Garante della privacy per intenderci, che nelle sue FAQ ha detto esattamente il contrario:
«il datore di lavoro non può acquisire, neanche con il consenso del dipendente o tramite il medico competente,i nominativi del personale vaccinato o la copia delle certificazioni vaccinali. Ciò non è consentito dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro né dalle disposizioni sull’emergenza sanitaria.» 1 .
Questa presa di posizione si scontra con vari aspetti normativi, giurisprudenziali e convenzionali. Prima di tutto il testo di base da cui partire è, come è ovvio, il Regolamento (EU) 2016/679, che disciplina all’articolo 9 i casi in cui è consentito il trattamento dei c.d. “dati particolari” (quelli cioè che sotto la vecchia normativa eravamo abituati a chiamare dati sensibili).
Ora, nell’ambito dell’articolo 9 vi sono varie tipologie di trattamento consentito che sembrano andare nella direzione opposta rispetto a quella indicata dal Garante. Recita, infatti, l’art. 9.2 che il trattamento è lecito quando:
«b) il trattamento è necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale, nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri;»
«d) il trattamento è necessario per la salvaguardia degli interessi vitali dell’interessato o di un’altra persona fisica; (C46)»
«e) il trattamento è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento» 2 .
considerando 46 dello stesso Regolamento (che è richiamato dal comma b) riportato sopra, spiega ancora meglio questo concetto, vedi caso enunciando proprio il seguente esempio:
«Alcuni tipi di trattamento dei dati personali possono rispondere sia a rilevanti motivi di interesse pubblico sia agli interessi vitali dell’interessato, per esempio se il trattamento è necessario a fini umanitari, tra l’altro per tenere sotto controllo l’evoluzione di epidemie e la loro diffusione o in casi di emergenze umanitarie, in particolare in casi di catastrofi di origine naturale e umana.».
Ci pare che vi sia abbastanza materia quanto meno per discutere se sia proprio vietato al datore di lavoro appurare lo stato di vaccinazione dei propri dipendenti. Continuando su questa analisi, ricordiamo come il Garante Inglese, l’Information Commissioner Office (ICO), nelle proprie linee guida in materia di COVID-19, alla domanda: «posso raccogliere i dati di vaccinazione dei miei dipendenti? non risponde con un secco no, ma pone una serie di condizioni e di requisiti per poter trattare questi dati legittimamente 3 .
Se non bastasse, come è stato più volte annunciato, i datori di lavoro hanno dato la loro disponibilità a far effettuare le vaccinazioni in azienda e la Confcommercio (ma piani analoghi sono in essere regionalmente anche nel settore industria) ha firmato un protocollo di intesa con la regione Lombardia e l’associazione dei medici per procedere in questo senso. In tale protocollo si legge chiaramente che «L’azienda raccoglie le adesioni dei lavoratori che intendono vaccinarsi in azienda previa informazione resa in collaborazione con le organizzazioni sindacali aziendali».
Dicevamo della giurisprudenza: il Tribunale di Belluno, nel decidere su un ricorso di urgenza di alcuni lavoratori di due RSA che si erano rifiutati di sottoporsi al vaccino, non si è minimamente posto il problema circa la liceità del datore di lavoro di conoscere i dati vaccinali dei propri dipendenti. Nella sua ordinanza il Tribunale ha rigettato il ricorso in modo molto netto, ricordando gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro che gravano sull’imprenditore, tra cui anche l’obbligo di proteggere non solo gli altri dipendenti, ma anche gli stessi lavoratori renitenti 4 .
Sullo stesso piano si pone il recentissimo D.L. 1° aprile 2021 n.44, che all’articolo 4 impone agli operatori sanitari in genere l’obbligo di vaccinarsi contro il COVID-19, prevedendo una procedura affinché le Aziende Sanitarie possano controllare l’adempimento dell’obbligo. Al termine di questa procedura, se risulta che il dipendente non si sia vaccinato, l’ASL «ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro ed all’ordine professionale di appartenenza», da cui conseguirà poi la sospensione della prestazione da parte del lavoratore renitente 5 .[Il datore di lavoro, quindi, viene direttamente investito nella procedura di individuazione dei soggetti che non si sono sottoposti al vaccino, con le conseguenze normativa che vedremo dopo.
Ma il problema che non sembra essere stato affrontato a sufficienza è: il dato “soggetto vaccinato” è un dato di natura particolare, cioè relativo allo stato di salute? Il Garante inglese sembra essere di questo parere, ma i dubbi sul punto sembrano legittimi considerando che la norma (pesantemente sanzionata, lo ricordiamo, dall’articolo 83.5 del GDPR con una multa fino a 20 milioni di euro o il 4% del fatturato mondiale totale annuo) impone che si tratti di un dato relativo alla salute, mentre lo status di vaccinato non sembra indicare una patologia o uno stato di morbilità, ma solo una condizione personale derivante da un evento (la vaccinazione) non di natura curativa (quindi dato particolare) ma preventiva, quindi non indicativo dello stato di salute.
Trattamento dei dati e responsabilità organizzativa del datore di lavoro
Una parte importante in queste valutazioni giocano gli obblighi che sul datore di lavoro incombono per effetto dell’art. 2087 cod. civ. e, in specifico, del D.lgs. 231/01, sulla responsabilità “amministrativa” (ma è penale) degli Enti.
A nostro giudizio, l’esame del sistema rende palese che vi sia una discrasia non trascurabile tra le considerazioni del Garante Italiano e tutto questo insieme di norme, la giurisprudenza e i citati accordi, che portano a ritenere ragionevole auspicare che la Authority, sempre attenta nella sua storiasin dai primordi sotto la guida di Rodotà anche alla attuabilità/sostenibilità pratica delle norme di cui è garante, possa meglio ricontestualizzare le sue indicazioni iniziali.
Come anticipato, un ruolo interpretativo importante gioca l’art. 4 del decreto n.44 di aprile 2021 (o anno Pandemico Secondo, come -forse- cedendo ad una numerazione da science fiction dovremmo cominciare a chiamarli, anche solo scaramanticamente).
La norma, come una recente interpretazione (parzialmente) condivisibile scrive 6 , impone ai professionisti (dipendenti e non) del comparto sanitario la vaccinazione, stabilendo regole per l’esenzione e regole repressive per i “renitenti” (potremmo dire, nella miglior tradizione ispirata al Cohaagen di Total Recall 7 ).
La ratio dichiarata (spiace dirlo, ma come in tutti i regimi collettivistici in cui il collettivo comprime l’individuale per il “bene comune”) è «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza».
Costoro (con i condivisibili appunti di Scarpelli, citato, sulla genericità della previsione individualizzante) sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione “gratuita” per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV- 2 8 .
Nell’ambito delle valutazioni necessitate di area “231” e, conseguentemente, ex art. 2087 cod.civ. dei datori di lavoro/committenti del comparto, «la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati».
Il modello organizzativo del piano vaccinale è poi dato “nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti”, che del resto sinora tanta buona prova di sé (nel più puro concetto del Trust 9 ) hanno fornito.
Quindi riepilogando: il datore di lavoro del comparto sanitario deve integrare le proprie valutazioni (del modello organizzativo) “231” dove previste e del DVR ex art. 2087 cod. civ. integrato dal D.lgs. 81/08 con l’organizzazione, secondo i modelli dettati dalle autorità competenti, del piano di vaccinazioni dei propri dipendenti e collaboratori autonomi 10 .
L’unico caso in cui il dipendente/collaboratore si può sottrarre alla vaccinazione “compulsiva” è «in caso di accertato pericolo per la salute (propria del dipendente/collaboratore), in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale».
Sul piano “trattamento dei dati”, entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, «ciascun Ordine professionale territoriale competente trasmette l’elenco degli iscritti, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma in cui ha sede. Entro il medesimo termine i datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie, socioassistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali trasmettono l’elenco dei propri dipendenti con tale qualifica, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma nel cui territorio operano. Entro dieci giorni dalla data di ricezione degli elenchi di cui al comma 3, le regioni e le province autonome, per il tramite dei servizi informativi vaccinali, verificano lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti rientranti negli elenchi. Quando dai sistemi informativi vaccinali a di sposizione della regione e della provincia autonoma non risulta l’effettuazione della vaccinazione anti SARS- CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell’ambito della campagna vaccinale in atto, la regione o la provincia autonoma, nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, segnala immediatamente all’azienda sanitaria locale di residenza i nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati. Ricevuta la segnalazione di cui al comma 4, l’azienda sanitaria locale di residenza invita l’interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione, l’omissione o il differimento della stessa ai sensi del comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione o l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale di cui al comma 1».
Se il “compulsato” non si vaccina o non esplicita le ragioni di esenzione previste per decreto (comma 2) e non adempie agli inviti, l’Ente (narrativamente, il Cohaagen) di competenza «accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza».
Quindi, con buona pace delle Faq da cui siamo partiti, l’informazione sul “vaccino” viene data anche al datore di lavoro. Come del resto (ricordate il razionale ICO inglese, sopra richiamato?) è razionale e congruente con un complesso normativo che su quest’ultimo pone obblighi imperativi (a rischio penale) che determinano la necessità di adempimenti organizzativi. Adempimenti che l’assenza di informazione specifica non renderebbe destinati ad esiti migliori di quelli cui il Woody Allen di Hollywood Ending riferisce l’opera di “un poveretto cieco”.
L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’AST «determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARSCoV-2».
Coerentemente con le necessità organizzative (nulla di strano in questo ed anzi coerente conseguenza degli obblighi imperativi legali incombenti sugli Enti) il dato (personale) della sospensione «è comunicata immediatamente all’interessato dall’Ordine professionale di appartenenza» oltre che al datore di lavoro (che quindi evidentemente può trattare il dato, com’è stato sopra illustrato essere conseguente alla normativa precettiva).
Ricevuta la comunicazione (di cui al comma 6), il datore di lavoro adotta i provvedimenti organizzativi (sensati e) conformi ai poteri attribuitigli dalla legge (art. 2103 c.c. e D.lgs. 81/08), valutando innanzitutto (non, come qualche raffinata ma poco condivisibile opinione accademica ha scritto, il licenziamento 11 , ma) provvedimenti organizzativi di adibizione, “ove possibile”, a mansioni, «anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio».
Con il corollario (sempre coerente coi poteri organizzativi, cfr. in parte specifica il Tribunale di Belluno sopra citato, ma anche le osservazioni di De Matteis, citato) che «quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato» (anche se parrebbe ragionevole interpretare questa previsione “con juicio” 12 e ritenerne l’applicazione successiva alla utilizzazione, meno impattante sulle condizioni economiche del renitente, di permessi e ferie).
La sospensione predetta «mantiene efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021».
Insomma, il renitente a tutti gli effetti è inquadrato (non come un individuo che esercita quel diritto alla sua libertà, che Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e privacy dovrebbero coprire ma) come un reietto della collettività.
Narrativamente (e recuperando metafore della tradizione letteraria sugli eretici 13 ), ai fini dell’articoletto, potremmo descriverlo come un Licantropo.
Le contraddizioni del Protocollo per le vaccinazioni in azienda del 6 aprile 2021
È stato firmato il protocollo per le vaccinazioni in azienda ed aggiornato il Protocollo Condiviso per le misure di contrasto alla diffusione del virus negli ambienti di lavoro 14 .
Prevede che i datori di lavoro mettano a disposizione le proprie strutture (logistiche ed organizzative, medico competente incluso e costi, ma non quelli vaccinali) per partecipare al piano vaccinale nazionale e consentire ai lavoratori (volontari) di vaccinarsi.
Sui dati incombe la rigorosa riservatezza, sicurezza delle informazioni raccolte e il divieto di ogni forma di discriminazione 15 .
Il medico competente risponde dell’informazione e acquisizione del consenso informato. La somministrazione è riservata ai medici idonei e formati, le modalità sono conformi alle “indicazioni ad interim” richiamate. Seguono dettagli (cfr. nelle note sotto).
A differenza del regime stabilito dal Dl 44/21, il trattamento dei dati relativi alle fasi prevaccinale e post vaccino realizzata per il tramite delle imprese ricade, secondo le pattuizioni volute dalle parti, nello schema di un generico richiamo alla “tutela della riservatezza dei dati”, con una evidente incongruenza in quanto sarà parte datoriale ad organizzare la vaccinazione, presso di sé o presso strutture sanitarie esterne, quindi necessariamente venendo a conoscenza dei soggetti che avranno aderito alla campagna vaccinale. Mentre appare velleitario pensare che sia il medico competente a dover organizzare tutto il sistema di trattamento dei dati relativo alla raccolta dei consensi, determinazione delle problematiche soggettive inerenti i vaccinandi e gestione di questa informazione per la organizzazione (della supply chain vaccinale pre e post; tipologia vaccini ecc.; senza considerare che se si usa uno qualsiasi dei vaccini che richiedono il richiamo 16 , tutto questo carrozzone raddoppia la propria complicazione). Se invece la gestione informativa si ribalta sul datore di lavoro, organizzare un sistema informativo che garantisca il rispetto della privacy (cioè non conoscibilità dal datore di lavoro) e sia rimesso alla gestione del medico competente è tutt’altro che un lavoretto da nulla.
Tenendo, infine, ben conto che, ad ulteriore differenza dalle previsioni per il settore sanitario, “nessuna discriminazione” è possibile se vi sia la decisione di non vaccinarsi. Il che pare mettere ostacoli (convenzionali) ai poteridoveri organizzativi del datore di lavoro, invece espressamente richiamati dal DL 44/21.
La coperta corta qui viene trascinata sul lato apposto del letto.
Ma (almeno) il Licantropo, nel regno del settore privato non sanitario, è salvo!
La disciplina del settore sanitario ci aiuta a interpretare gli obblighi incombenti sulla generalità?
Come detto la disciplina specifica per il settore sanitario secondo una prima interpretazione 17 sarebbe limitata al settore sanitario e quindi non estensibile.
Questa parte dell’interpretazione citata (peraltro interpretativamente motivata sulla specificità del dettato normativo, ex art. 12 preleggi) è corretta formalmente: è certo che l’estensione dell’obbligo di vaccinazione non è possibile fuor dalla previsione di una norma. Indicazione confermata dal Protocollo citato al paragrafo precedente.
Tuttavia non va trascurato che la specificità (delle conseguenze organizzativo-cautelari) normata dal DL 44/21 è una rappresentazione del ragionamento necessitato dalla fattispecie preventiva della sicurezza sul lavoro, se inquadrata nel complesso del sistema normativo della responsabilità organizzativa e sociale d’impresa che incombe sui datori di lavoro.
L’analisi raccomandata (coercitivamente) dalla norma di aprile è, in realtà, coerente con il sistema relativo all’applicazione delle regole di sicurezza che incombono al datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ. e del D.lgs. 81/08, anche secondo quella che è la prassi applicativa giurisprudenziale (si pensi alla copiosa giurisprudenza sul tema altrettanto spinoso e che ha molte simlarità laddove ricondotto ad una “quantistica” equivalea temporale dell’analisi giuridica “preventiva” secondo i criteri della colpa della responsabilità per utilizzo a fini di sicurezza dell’amianto 18 ).
Il sistema che incombe sui datori di lavoro, e in particolare su quelli organizzati in forma di ente, prevede che l’analisi della sicurezza si incentri sulla esclusione del rischio laddove possibile e minimizzazione laddove (ovviamente trattandosi di attività lecita e utile) non possibile sulla base delle consapevoli certezze scientifiche dell’epoca e i migliori metodi preventivi noti 19 (e quello del covid, in cui vi sono tutt’altro che sufficienti certezze scientifiche ad oggi,
sia sulla malattia sia sui metodi per prevenirla e curarla, compresi i vaccini 20 , tale è: basti pensare alle mascherine. A quelle che il nostro stesso Stato ha comprato – 2162 e 2163 – sulla cui adeguatezza sono sorte profonde critiche, cosiccome in tempi non troppo lontani mascherine idonee a prevenire il rischio fibre d’amianto non esistevano, mentre oggi ce lo si dimentica consapevolmente nelle aule di tribunale).
L’art. 25 septies del D.lgs. 231/01 punisce infatti l’Ente (lasciando alla normativa generale la punizione dei soggetti individuali) che commetta per proprio vantaggio (e l’utilizzo della prestazione certamente lo è stato ritenuto dalla giurisprudenza) il delitto dell’art. 589 cod. pen. o dell’art. 590 cod. pen. con violazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro. La responsabilità dell’Ente deriva, «per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio» (art. 5 Dlgs. 231 cit.) da amministratori, dipendenti, collaboratori.
L’Ente può evitare la responsabilità se dimostra di avere adottato modelli di organizzazione virtuosi e sicuri, funzionali ad evitare gli accadimenti rappresentati dalla norma incriminatrice come eventi di reato da prevenire (art. 6 D.lgs. 231/01).
Quindi lo schema prevede: rappresentazione del rischio, identificazione dei comportamenti suggeriti o raccomandati come prioritari per evitarlo, organizzazione di un modello comportamentale che induca i dipendenti/amministratori/consulenti (persone che agiscono per l’Ente) ad osservare i comportamenti virtuosi, sorveglianza sul modello stesso e sulla sua attuazione e infine repressione (prima organizzativa e poi disciplinare) dei comportamenti divergenti; secondo uno schema puro di responsabilità organizzativa (artt. 2087, 2104, 2105, 2106, D.lgs. 81/08 e D.lgs. 231/01). Questo schema è il modello che, a prescindere dalla rappresentazione data dal decreto n. 44 di aprile per il comparto sanitario, si applica a tutti i datori di lavoro.
In questo schema, cosiccome appare evidente e positivamente imposto dal decreto n.44, il trattare il dato personale “vaccinazione” difficilmente può essere ritenuto non conforme allo schema di ragionamento del GDPR e degli artt. 5, 8 e 9 (con il corollario del 13, in dipendenza dall’art. 42 del D.lgs. 81/08, per quanto modificato nel 2015) dello Statuto.
La sicurezza de(gli altri) lavoratori e del pubblico diventa cardine di una valutazione di bilanciamento di un dato (essersi vaccinati o no) che (nulla dice sulla salute, come sopra ricordato nel definire il “dato particolare”, e) solo palliativamente si può pensare sia protetto dal filtro del medico competente. Ciò anche perchè un lavoratore sempre in precedenza “idoneo”, laddove diventi inidoneo solo come conseguenza delle campagne vaccinali organizzate in coerenza con le raccomandazioni governative dal datore di lavoro, dall’AST regionale e dalle OO.SS. (secondo lo schema virtuoso circoli di qualità dei modelli di organizzazione di cui all’art.30 del D.lgs. 81/08) di fatto esplicita (secondo quella nozione di dato personale ben spiegata da Rodotà e Lyon 21 ) l’informazione relativa alla qualità di vaccinato o meno. Rendendo solo più laborioso per il datore di lavoro adempiere al proprio compito organizzativo, affidando al medico competente una valutazione che non può fare (perché quella di idoneità per non vaccinazione non ha nulla di sanitario e fuoresce dalla sua competenza appunto), con pregiudizio dei diritti di ciascuno dei soggetti coinvolti e di quelli dei terzi.
La novella esenzione dalla responsabilità penale (estesa dal Protocollo sulle vaccinazioni in azienda al settore privato?) conferma l’interpretazione proposta.
Una riflessione finale va dedicata all’art. 3 del decreto.
«Responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2» una causa di esclusione di punibilità 22 «per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV -2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n.178, …. quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione».
Questa esclusione pare avere portata generale (anche se il contesto normativo in cui è inserita potrebbe far pensare ad una delimitazione soggettiva alle sole istituzioni pubbliche e sanitarie che inoculino il vaccino e così ai sanitari che, sotto la direzione di quelli, lo fanno) 23 .
Il Protocollo tuttavia, nelle premesse, afferma (volli fortissimamente volli) che «con decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, all’articolo 3 è stata esclusa espressamente la responsabilità penale degli operatori sanitari per eventi avversi nelle ipotesi di uso conforme del vaccino».
Ovviamente questa constatazione mentre nulla potrebbe dire sull’applicazione della norma di esenzione della responsabilità o meno ai datori di lavoro né ai medici competenti, sembra dare conto di una lettura generalizzata della causa di non punibilità per i sanitari (pubblici o privati) che provvedano all’inocuazione del vaccino. Lasciamo però ai penalisti l’interpretazione.
A prescindere da ogni considerazione sulla (discutibile giuridicamente in uno stato europeo soggetto alla Rule of Law) costituzionalità del decreto (per sua natura peregrino sino alla conversione) e la (per chi scrive, evidente assenza di) eticità (la correzione del triplo effetto di Judith J. Thomson della scelta, tra le più possibili, giusta) della deresponsabilizzazione (come se la politica non avesse registrato l’invocazione, in questa Era Covid, del popolo alla responsabilità quale componente essenziale del contratto sociale democratico, in cui nessuno è superiore alla legge né più uguale dei suoi concittadini di fronte ad essa, per nessuna ragione), certo è che il lavoratore comune si trova non solo a fare da (cavia?) sperimentatore di fatto dei vaccini (di cui non abbiamo notizie certe sui possibili pregiudizi né a breve né a lungo termine), ma si trova anche solo di fronte alle possibili conseguenze dannose derivanti (qualora l’esenzione fosse applicabili) dal c.d. atto lecito pregiudizievole.
Mentre pare (a chi scrive) difficile che il datore di lavoronel rispetto del sistema possa beneficiare di quella stessa esenzione e possa ritenersi sottratto all’obbligo di fare tutte quelle valutazioni di sicurezza che abbiamo ricordato sinteticamente, se vorrà sottrarsi alla responsabilità derivante non solo dall’infezione da covid, ma soprattutto dalle conseguenze vaccinali (sulle quali, allo stato come detto, non abbiamo sufficienti informazioni né sugli effetti a breve né sugli effetti a lungo termine).
Certo è poi, a parer di chi scrive, che per il funzionamento sussidiario del sistema italiano di responsabilità civile – appare difficilissimo (seppur si possa applicare l’esenzione penale) che datori di lavoro, medici competenti e sanitari si possano sottrarre alle eventuali conseguenze risarcitorie di condotte valutate come colpose.
E la triste storia dell’amianto 24 (a fini di sicurezza) insegna (in civile e in penale) che la memoria delle campagne statali “emergenziali” per la sicurezza sociale è veramente corta e poi lascia i cittadini soli a sopportarne (magari molti decenni dopo, a consapevolezze mutate) le conseguenze.
Tanto più in un tempo in cui l’intera società civile mondiale partecipa (delle buone intenzioni è lastricato l’Inferno) alla più grande sperimentazione farmacologica della storia. Ma … come diceva il manzoniano don Abbondio, «il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare» e pare che questo sia il pregiudizio dei nostri governanti, renitenti alla responsabilità (che empatia e solidarietà forse invece suggerirebbero).
1. https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9543615 2. Nel caso specifico, l'interesse pubblico alla campagna vaccinale è stato sancito dall'articolo 1, comma 457, della L. 30.12.2020 n. 178. 3. Can I collect data about whether my employees are vaccinated against COVID 19, disponibile su https://ico.org.uk/global/data-protection-andcoronavirus- information-hub/coronavirus-recovery-data-protection-advice-for-organisations/vaccinations 4. Tribunale di Belluno, Ordinanza del 19.03.2021 5. D.L. 1.4.2021, art. 4.6 6. Franco Scarpelli, Arriva l'obbligo del vaccino (solo) per gli operatori sanitari: la disciplina e i suoi problemi interpretativi, nell'ambito delle Conversazioni sul lavoro a Distanza promosse e coordinate da V. A. Poso, nell'ambito delle iniziative della Fondazione Giuseppe Pera. Nell'ambito delle stesse conversazioni cfr. anche i contributi, interessanti, specie quanto alle soluzioni ego focused e group focused, di Aldo De Matteis Il decreto Legge sull'obbligo di vaccino del personale sanitario; e Matteo Verzaro, ECCE LEX! L'Obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari, in corso di pubblicazione sul n. 2/21 di www.lavorodirittieuropa.it, quanto al tema dell'estensione soggettiva dell'art. 3 del DL 44 (provocatoria forse, sull'indeterminatezza della norma e le relative conseguenze) e nel giusto richiamo al problema generale dell'indennizzo per le conseguenze della vaccinazione obbligatoria. 7. Ma le sfumature letterarie cedono alle considerazioni di Shoshana Zuboff, The Age of Surveillance Capitalism, Londra 2019. 8. M. Verzaro sul punto è attento e ripercorre sia le possibilità previste di danni "collaterali" nei moduli di consenso sia il regime che regola gli indennizzi, non previsti in questo caso: cfr. id. punto 6, pag. 12. 9. Cfr. le osservazioni di Rachel Botsman, Who can you trust?, New York 2017. 10. Del resto in coerenza con le previsioni sui "modelli" appunto dettate dall'art. 30 del D.lgs.81/08. 11. I problemi concreti che scegliere una tal soluzione solleva non sono pochi, a partire dalla necessità di confrontarsi col certo tema della temporaneità della rilevanza dell'impossibilità (la pandemia, è una legge naturale, non durerà in eterno e questa per legge termina il 31 dicembre 2021), per seguire poi con la prudenza che impone l'incertezza sulla efficacia del vaccino e sulle possibili conseguenze dannose, invece, di cui il datore di lavoro coercitivo sopporterebbe tutto il peso (dalle lesioni colpose a quelle più gravi, pur lasciando ai penalisti decidere se si potrebbe ipotizzare persino la colpa cosciente o il dolo eventuale). 12. Critiche anche le osservazioni di Verzaro, cit. par. 4. 13. Cfr. R. Rao, Il tempo dei Lupi, Milano 2018. 14. Quanto al Protocollo condiviso, l'unico aggiornamento effettivamente rilevante è che è stata reinserita la necessità del tampone per il rientro del lavoratore positivo dopo i 21 giorni (pag. 8: "I lavoratori positivi oltre il ventunesimo giorno saranno riammessi al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario"). 15. Dice il protocollo: 7. Ai fini del presente Protocollo, tutte le Parti sottoscrittrici si impegnano a fornire le necessarie informazioni alle lavoratrici e ai lavoratori, anche attraverso il coinvolgimento degli attori della sicurezza e con il necessario supporto del medico competente, anche promuovendo apposite iniziative di comunicazione e informazione sulla vaccinazione anti SARS-CoV-2/Covid-19. 8. Le procedure finalizzate alla raccolta delle adesioni dei lavoratori interessati alla somministrazione del vaccino dovranno essere realizzate e gestite nel pieno rispetto della scelta volontaria rimessa esclusivamente alla singola lavoratrice e al singolo lavoratore, delle disposizioni in materia di tutela della riservatezza, della sicurezza delle informazioni raccolte ed evitando, altresì, ogni forma di discriminazione delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti. 9. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sui vantaggi e sui rischi connessi alla vaccinazione e sulla specifica tipologia di vaccino, assicurando altresì l'acquisizione del consenso informato del soggetto interessato, il previsto triage preventivo relativo allo stato di salute e la tutela della riservatezza dei dati. Omiss… 11. Il medico competente, nel rispetto delle vigenti disposizioni per la tutela della riservatezza dei dati personali, assicura la registrazione delle vaccinazioni eseguite mediante gli strumenti messi a disposizione dai Servizi Sanitari Regionali e richiamati al paragrafo 6. 16. L'unico vaccino one shot sarebbe il J&J che però non sembra destinato ad approvvigionamenti a breve, a stare alle notizie di stampa, per il nostro Paese. 17. Cfr. l'articolo citato di Scarpelli. Più critici sull'ambito di estensione soggettiva alle arti e professioni "sanitarie" sia De Matteis sia Verzaro. 18. Tema delicato, perché oggi sinonimo di perfido attentato alla salute collettiva, ma sino alla fine degli anni '80 le specifiche costruttive pubbliche di una serie infinite di manufatti e prodotti prevedevano l'asbesto come prodotto specificamente indicato per la prevenzione del rischio calore. E molti si sono trovati a risponderne, spesso oltre 40 anni dopo, solo per avere seguito quelle indicazioni in buona fede, non avendo più alcuna possibilità di difendersi. Sul che cfr. le osservazioni infra sull'art. 3 del DL 44/21. 19. La Corte Costituzionale ha approfondito questo concetto nella sentenza n. 312/1996. https://www.giurcost.org/decisioni/1996/0312s-96.htm 20. Cfr. per sintesi le osservazioni di Verzaro cit. par.6. 21. Cfr. S. Rodotà in Intervista su Privacy e Libertà a cura di Palo Conti, Bari 2005; D. Lyon, Massima Sicurezza, Milano 2005. 22. Il presidente Conte fu invece fermo, da giurista, nell'impedirne una del tutto simile nella primavera del Primo Anno Pandemico. 23. Sull'ambiguità dell'ambito soggettivo cfr. comunque le osservazioni richiamate di Verzaro, cit. par. 1.1. 24. Altra demoralizzante rappresentazione etica del vizio di deresponsabilizzazione di uno Stato che ne ha prescritto l'uso a fini di sicurezza sino agli anni '80, salvo poi ritirare la mano che aveva lanciato il sasso per scaricare le colpe degli effetti dei propri errori sulla società civile, attraverso quel braccio senza memoria che istituzionalmente (e forse, purtroppo o per fortuna, deve essere) è la magistratura.