Secondo notizie riportate dalla stampa (e non smentite) Facebook starebbe trattando con il NY Times, il Guardian e National Geographic per pubblicare le notizie direttamente sul social network. Se la trattativa dovesse andare in porto, Facebook potrebbe sferrare un colpo durissimo a Google (e a tutti gli altri portali che riportano notizie prese dai giornali) e diventare in pochissimo tempo leader indiscusso della informazione digitale. La notizia è di quelle che sembrano secondarie ma, in effetti, porta alla ribalta una serie di problemi ancora senza apparente soluzione e spinge alla riflessione su una serie di aspetti ancora non del tutto (o tutti) evidenti e soprattutto anch’essi ancora tutti da risolvere. 1. Internet ha cannibalizzato e sta cannibalizzando sempre più il mondo dell’editoria. La crisi dell’editoria è un fatto noto, per il quale pochi, pochissimi hanno trovato una soluzione. Il NY Times è quello che ha provato la soluzione più drastica (passare dalla carta al digitale, ma sempre a pagamento), ma senza i risultati sperati. Tutti gli altri sono ancora nel limbo. Intanto i giornali on-line (stile Huffington Post) loro sì, crescono. In breve, l’editoria ha idee poche e confuse su come uscire da una crisi che sembra irreversibile. 2. Il grande nemico degli editori, in questi anni, è stato Google, accusato di lucrare lauti profitti per mettere a disposizione degli utenti i contenuti pubblicati dai giornali, senza pagare una lira di royalty ai giornali stessi. Contro Google è stata scatenata una campagna in tutto il mondo, con un contenzioso durissimo e la richiesta di pagamento di diritti e di copyright. Tutto ciò, finora, ha portato ad un unico risultato: in Spagna (dove per legge sarebbe stata costretta a pagare diritti di copyright abbastanza alti) Google dal 16 dicembre dello scorso anno non ha più pubblicato le news, i siti dei quotidiani hanno visto diminuire in maniera consistente il traffico sulle loro pagine (si parla di un calo del 15% medio) e, di conseguenza, rischiano un vistoso calo degli inserzionisti. Pubblicare in maniera consensuale i contenuti direttamente su Facebook è una mossa a sorpresa che spariglia i giochi ed evita al social network un possibile, durissimo contenzioso con gli editori che, è bene non dimenticarlo mai, come che vada hanno da sempre accesso alle stanze che contano (la legge spagnola ne è l’esempio evidente). 3. Chi ottiene cosa? Gli editori potranno rivendicare almeno una parte degli incassi pubblicitari, aumentando il proprio fatturato, Facebook dovrebbe ottenere quello che ciascun operatore della rete vuole: mantenere i propri utenti collegati con se stesso il maggior tempo possibile. Cosa più importante ancora, attraverso le scelte degli utenti (quali giornali leggono, che articoli, ecc), Facebook aumenterà in maniera esponenziale la propria capacità di profilazione e segmentazione degli utenti, con potenziali ricadute fortissime in termini pubblicitari, diretti ed indiretti (diretti, nel senso della pubblicità che verrà mostrata direttamente agli utenti, indiretti, per tutti i sottoprodotti, per chiamarli con un eufemismo, che consentiranno un maggiore tracciamento degli utenti da parte dei c.d. “partner” di Facebook, cioè quella marea sconosciuta di soggetti che hanno accesso alle nostra informazioni per gli scopi più vari). Questo significa più soldi per tutti e più dati degli utenti che verranno messi in circolo e commercializzati, con buona pace della privacy. 4. I rischi non sono da poco, anzi. Prima di tutto: chi sceglie quali articoli pubblicare? Sulla base di che criterio? La profilazione potrebbe facilmente portare alla individuazione di dati che la legge definisce sensibili: se leggo un giornale di partito, per esempio, o comunque un giornale politicamente schierato, o se cerco articoli su una certa malattia, ecc. Il rischio non è la profilazione, ma i suoi sottoprodotti: la discriminazione e l’isolamento di chi non si adegua al pensiero dominante. La legge sulla privacy esiste, tra l’altro, proprio per garantire la libertà di espressione: per essere libero di pensarla come voglio devo essere libero di impedire agli altri di entrare nelle mia sfera privata e sapere come la penso. Se il voto è segreto ci sarà un motivo; se la Direttiva Europea, in linea di principio e salvo eccezioni, vieta il trattamento dei dati sensibili, anche per questo ci sarà un motivo. 5. Se un certo numero di giornali aderiranno a questa iniziativa, ovviamente tutti aderiranno, non potendosi lasciare sfuggire quello che i concorrenti hanno già preso. Rischi di monopolio della informazione? monopolio è una parola grossa, ma unita alla parola informazione comunque fa venire i brividi. 6. Infine, che fine faranno i nostri dati? E’ bene, una volta per tutte, stabilire un paio di cose. Che parlare di privacy nel mondo moderno sia una chimera, lo sappiamo da tempo e ce ne siamo fatti una ragione. Ma che, d’altra parte, non ci sia un diritto in base al quale chiunque possa arrogarsi il diritto di sapere tutto di qualcun altro, questo è un principio che va affermato con forza. Per quanto la mia posizione di critica a certi aspetti del futuro Regolamento Generale sulla Privacy sia nota, non posso che dare il benvenuto alle nuove regole che consentiranno di colpire anche le violazioni commesse da chi risiede oltre oceano.
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